Covid e disoccupazione: quando il suicidio sembra l’unica soluzione

davide digiovanniAttualità

Alice Rabai, Psicologa di Life & Mind

Alice Rabai, Psicologa di Life & Mind

In base all’ultima bozza del Decreto “Sostegni bis”, dal primo luglio 2021 le aziende industriali potranno tornare a licenziare i lavoratori. Tale provvedimento metterà a rischio più di 500.000 posti di lavoro facendo aumentare la probabilità che i dipendenti siano licenziati dopo tanti anni di esperienza passati in azienda, ma privi delle competenze necessarie per essere ricollocati altrove. Data la situazione delicata in cui versa il nostro Paese, è impossibile non pensare agli effetti collaterali che questa decisione potrebbe cagionare, non solo dal punto di vista economico e occupazionale, ma soprattutto sociale. In un anno difficile come questo, dove molte attività sono già arrivate al collasso con tanti lavoratori che hanno visto i loro guadagni andare in fumo, il rischio che si sviluppino sintomi di tipo ansioso-depressivo è veramente molto elevato. La condizione economica italiana attuale, unita a fenomeni quali l’isolamento forzato a cui siamo stati sottoposti e la mancanza di stimoli, potrebbero portare a un’impennata di un fenomeno molto conosciuto, ma purtroppo ancora sottovalutato: il suicidio. Com’è noto, in seguito a crisi ed emergenze, il numero dei suicidi tende a crescere notevolmente, basti pensare che durante le crisi economiche del 2008 e del 2012, in Italia, il numero degli uomini che hanno commesso il suicidio è aumentato del 12%. L’Osservatorio suicidi della Link Campus University di Roma ha registrato 25 suicidi nelle settimane del primo lockdown del 2020 e 16 nel mese di aprile, ai quali si aggiungono 21 tentati suicidi nelle settimane di isolamento. Il dato ancora più interessante è che più della metà delle vittime è costituita da imprenditori, con la riprova che nonostante il fattore economico non sia l’unico, rimane uno dei motivi principali sottostanti alla decisione di commettere un gesto estremo. Proprio in questi giorni alcuni fatti di cronaca, riconducibili a due ipotesi di suicidio, hanno coinvolto la nostra regione, con il ritrovamento di un corpo carbonizzato tra le vigne in zona Gassino Torinese e dell’uomo deceduto nella sua auto per una probabile intossicazione da monossido di carbonio nella strada che collega Leinì e Lombardore. Quando la progettazione dell’atto si fa concreta, la prevenzione è fondamentale. Questo può avvenire innanzitutto attraverso il riconoscimento di alcuni segnali d’allarme e il recupero di quella rete sociale che purtroppo, con la pandemia, rischia di essere completamente annullata.

Dire di voler morire, essere alla ricerca di una modalità per uccidersi, pensare di essere un peso per gli altri, isolarsi e avere sbalzi d’umore estremi, sono tutti segnali di pericolo associati al suicidio e anche se potrebbero non essere ciò che causa direttamente il gesto, rimangono quelli da considerare in primis, in un’ottica preventiva. Oltre al riconoscimento dei segni è poi fondamentale potenziare la rete sociale per incrementare il senso di appartenenza alla comunità con interventi familiari tesi a migliorare i rapporti tra parenti, cercando per esempio, in caso di una difficile situazione economica, di relativizzare la responsabilità che la persona si imputa. Tutto ciò dovrebbe essere inglobato con un sostegno mirato alla sintomatologia depressiva che, unita alla perdita di speranza nei confronti di se stessi e del mondo e al sentimento di disperazione costante, può facilmente portare la persona a vedere nel suicidio l’unica strategia possibile per affrontare il proprio dolore.